23 August 2013

Books - D.V. by Diana Vreeland

Everybody defines Diana Vreeland as "Legendary editor in chief of the American Vogue" even if they haven't the slightest idea who they're talking about. So, I'm asking you, what's the meaning of the word "legendary", conventionally used as a crossword clue?
The answer is more complicated than expected, but you can solve the riddle by reading her entertaining autobiography D.V. published in 1984.

“Leggendaria direttrice di Vogue America”, così definiscono Diana Vreeland tutti coloro che non hanno la benché minima idea di chi stiano parlando e che hanno bisogno di riempirsi la bocca per dare l’impressione di saperne qualcosa. Ma in realtà, cosa si nasconde dietro quel “leggendaria” usato convenzionalmente quasi fosse una definizione da cruciverba?
La risposta è più complicata del previsto, ma gran parte dell’enigma trova risoluzione nella lettura della sua divertente autobiografia D.V. pubblicata nel 1984 e recentemente rieditata in Italia da Donzelli Editore nel 2012.

Diana Vreeland photographed by Arnold Newman, 1974
Diana Vreeland photographed by Arnold Newman, 1974

Since the first pages of the book, the former fashion editor of Harper's Bazaar (1936-1962) and former editor in chief of American Vogue (1962-1971) seems speaking to a lifelong friend in front of a cup of tea in her office at the Costume Institute Office in New York.
She's frank, funny and hands out a lot of anecdotes on anything she can think of, just like the stream of consciousness of a James Joyce character.
The book is a sort of Stargate on past eras that everyone would like to live in, and as the Auntie Mame by Patrick Dennis, Vreeland is our master key to the high society between the early twentieth century and the 70s. Despite the intrigues, the secrets, the rules and the obligations of society, she's free from every kind of prejudice and this makes her an unbeatable heroine to our eyes. Her stories are very funny and full of dreamy detailed descriptions, but be careful not to call them memories, Diana herself explains she isn't a nostalgic old lady, but a person who always looks ahead.

Sin dall’incipit, l’ex-fashion editor di Harper’s Bazaar (1936-1962) ed ex-direttrice di Vogue America (1962-1971) sembra parlare al lettore davanti ad un tè pomeridiano nel suo ufficio al Costume Institute del Metropolitan Museum di New York, come fosse un amico di sempre. E’ schietta, divertente, dispensa suggerimenti ed aneddoti su qualsiasi cosa le venga in mente e se non fosse per la punteggiatura, potrebbero essere benissimo le riflessioni di un personaggio di James Joyce.
Le pagine del libro, così come le porte del suo ufficio, sono uno Stargate su epoche che non esistono più, ma che tutti vorrebbero vivere. Proprio come la Zia Mame di Patrick Dennis, Diana è il passepartout per il bel mondo che nonostante i cambiamenti socio-culturali intercorsi tra l’inizio del XX secolo e gli anni 70, si è sempre caratterizzato di intrighi, segreti, obblighi dettati da protocolli ed etichette, ma anche di quel senso di libertà che emerge in ogni azione la veda protagonista, rendendola un’imbattibile eroina (di stile) ai nostri occhi. Mi raccomando però a non chiamarle Memorie, la stessa autrice infatti spiega di non essere una vecchietta nostalgica, ma una persona che guarda sempre avanti.

Diana Vreeland in her Office at Vogue
Diana Vreeland in her Office at Vogue

Her world is made of coronation ceremonies, elephants, diamonds, maharajas, Schiaparelli clothes, deep red nail-polish, heavy make up inspired to the Japanese maikos, ballet lessons from Michel Fokine, Balenciaga fashion shows alongside Audrey Hepburn, film premieres in the company of Josephine Baker and her cheetah, ball at the White House as guest of Jacqueline Kennedy, late nights at the Studio 54 with Andy Warhol and chats with Coco Chanel.
Daring a comparison with the exciting experiences of this woman, it seems we all just survive, trying to cope with the problems of today's society, and it's almost a relief discovering that Diana has such a great imagination that many episodes and anecdotes have been totally invented or just "embellished" according to her taste.

Azzardando un confronto con l’eccitante percorso di questa donna tra cerimonie di incoronazione, elefanti, diamanti, maharajà, abiti Schiaparelli, reali decaduti, smalti rosso intenso, trucchi pesanti ed ultracoprenti ispirati agli eccessi delle maiko, lezioni di balletto con Michel Fokine, sfilate di Balenciaga accanto ad Audrey Hepburn, prime cinematografiche in compagnia di Josephine Baker ed il suo ghepardo, balli alla Casa Bianca ospite di Jacqueline Kennedy, serate allo Studio 54 in compagnia di Andy Warhol e chiacchierate con Coco Chanel tenendo le braccia alzate durante le prove degli abiti, ci sembrerà a stento di vivere la nostra vita, tentando di far fronte quotidianamente ai ritmi ed ai problemi della società odierna.
Non ci resta quindi che tirare un sospiro di sollievo nello scoprire a fine libro che Diana non solo è dotata di una grande fantasia (grazie alla quale sono nati i più begli editoriali di moda dagli anni 30 ai 70), ma che molti episodi e aneddoti sono stati “abbelliti” secondo il suo gusto.

Diana Vreeland editorial for Harper's Bazaar
Diana Vreeland editorial for Harper's Bazaar

Maybe, after reading the book, you would describe Diana Vreeland as "Crazy" instead of "Legendary"; but have you ever heard about a creative person who doesn't go beyond the boundaries? I don't think so.
Diana Vreeland was imaginative, intuitive, instinctive, charismatic, confident, sometimes reckless, but only in the name of curiosity. If the combination of these features suffice for labelling a person as "crazy", I would like to be considered crazy like her.

Potreste allora intervenire nella discussione volendo interpretare, se non addirittura cambiare, quel “Leggendaria” con “Pazza”.
Forse sì, ma avete mai sentito parlare di un creativo ottuso che non sa andare oltre i propri limiti ? Non penso proprio. Diana Vreeland era estrosa, intuitiva, istintiva, carismatica, sicura, talvolta incosciente, ma solo in nome della curiosità e se queste caratteristiche contribuiscono a definire una persona pazza, allora vorrei essere considerato pazzo come lei.

Diana Vreeland photographed by Richard Avedon, June 1977, Rolling Stone Magazine
Diana Vreeland photographed by Richard Avedon, June 1977, Rolling Stone Magazine

Alessandro Masetti - The Fashion Commentator
Photocredits: DianaVreeland.com